Il fungo rosa sulla Parigi del Medio Oriente

Con il presidente Damiano Cosimo Cartellino immaginiamo di viaggiare per una metropoli del Medio Oriente e vedere case con vetri rotti; vetri rotti alle finestre per decine di chilometri; poi alberi a pezzi, automobili sventrate e un grosso rogo in lontananza sul mare, il porto brucia; a mano a mano ci avviciniamo al mare, abitazioni distrutte, polvere nell’aria, la frenesia dei soccorritori sulle macerie, brandelli di corpi umani e cadaveri. Siamo a Beirut in Libano all’indomani del pomeriggio di martedì 4 agosto 2020, quando le duemilasettecento tonnellate di nitrato di ammonio che si trovavano nel porto, sono esplose. Un fungo rosa nel cielo, una potenza di 3 kilotoni circa, in una città, Beirut, un tempo conosciuta anche con il nome di “Parigi del Medio Oriente” la quale si stima oggi a 2,2 milioni di abitanti.

 di Elettra Nicodemi

In Libano è stato lutto nazionale, per Beirut. Proclamato da Hassan Diab nel giorno seguente alle esplosioni nel porto, insieme a due settimane di stato di emergenza. Parlare di morti con numeri è sempre doloroso, si tratta di persone rimaste uccise che avevano un nome, un cognome, una famiglia, un passato, e al momento non riusciamo a reperire informazioni simili, possiamo solo cercare di capire così, con i numeri, l’entità della tragedia di Beirut: oltre 100 morti, circa 100 dispersi e, si è parlato, di 4000 feriti, con l’aggravante che da qualche parte dobbiamo pur metterla, che dopo l’esplosione mancano all’appello tre ospedali e non si sa bene cosa sia rimasto delle farmacie. Il saint George si trovava a un chilometro dall’esplosione; era l’ospedale più grande della zona. E naturalmente bisogna considerare che ora il porto non c’è più. Niente porto, niente merci. Prima che Tripoli sia pronto a prendere il posto del traffico su Beirut, suoneranno le trombe del paradiso.

In più nell’esplosione sono andate distrutte diverse centinaia di tonnellate di grano che erano conservate in silos. E non è che prima ci fosse tutto. Anzi già prima a Beirut non c’era nulla. Da marzo i prezzi dei beni di consumo erano triplicati, causa covid-19. La carne rossa non la mangiano nemmeno i militari da un pezzo, la carne bianca costava già prima il doppio. E Beirut prima del 4 agosto, copriva l’80% dell’importazione libanese.

La situazione acqua potabile non è mai stata delle più rosee là nella Parigi del Medio Oriente: di acqua dolce ce ne è poca, i depuratori molto spesso non funzionano, nella zona ovest non ce ne è affatto, ora l’acqua buona non viene neanche dal cielo perché le polveri dell’esplosione non si sono ancora chetate.

E con la luce, andiamo male. L’esplosione ha colpito la sede del gestore dell’elettricità il quale comunque prima copriva solo il 65% del fabbisogno, imponendo interruzioni elettriche dalle 3 alle 6 ore al giorno quando dà buono; quando i generatori del centro vanno in sovraccarico, si va dalle 9 alle 21 ore al giorno, senza energia elettrica. Il palazzo dell Elettricitè du Liban, la Edl, è rimasto sù, questo sì, ma dopo essere stato travolto dall’onda d’urto, un’onda di cui, tanto per avere un’idea i sismografi hanno segnato magnitudo 3,3 ed è stata percepita fino nell’Egeo.

Il direttore generale delle dogane libanesi dice di aver informato la magistratura sei volte sulla pericolosità del nitrato di ammonio che si trovava stoccato nel porto da quando era stato sequestrato alla nave russa battente bandiera moldava, cioè dal 2013. Non gli è mai stato concesso il permesso di riesportarlo. Era lì dentro, chissà come, da sette anni.

A Beirut è un disastro da molto. Il Libano, il paese dei Cedri, ha da una parte la Siria, dall’altra Israele; con la Siria ha una tregua dal 2006, con Israele riassumere è più difficile, considerando anche che ultimamente Israele e le milizie filo-iraniane Hezbollah sono di nuovo in tensione e che tuttavia anche con la Siria va così così in realtà, il ramo militare Hezbollah ha guidato il Libano di Bashar Assad nei rovi e nella crisi economica, assunzioni clientelari nella pubblica amministrazione hanno incrementato l’instabilità politica e faide interne, dunque il crollo della lira libanese con circa 910 mila persone di cui la metà bambini, senza soldi per comprare cibo, già prima dello scoppio.

Ora quello di Beirut, il porto che non c’è più, lo chiamano il porto dell’Apocalisse. L’Apocalisse. È Beirut.

 

Italia, 24/08/2020

articolo scritto dalla nostra Giornalista, Dott.ssa Elettra Nicodemi

Capo Redattrice Ufficio Stampa Presidenza del Partito Unione Nazionale Italiana