La violenza di genere, ne parliamo con Maria Gabriella Carnieri di Telefono Rosa

La violenza è un fenomeno sociale trasversale che coinvolge tutta la popolazione, di qualsiasi condizione e di ogni età. E è il risultato della discriminazione che a sua volta deriva da una atavica concezione di presunta superiorità legata al sesso maschile e a becere teorie razziste, omofobe e misogine che coinvolgono l’andamento sociale in misura ancora purtroppo significativa oggigiorno e che presumibilmente derivano da errori strutturali nella mediatizzazione a cui siamo soggetti oltreché alla paura del diverso dietro cui è ancora troppo facile trincerarsi “facendo gruppo” per sentirsi forti della propria identità, fino alla dinamica -frutto di un comune errore logico, in cui si incorre- di credere che si è diventati quello che si è grazie alle botte subite e ai maltrattamenti perpetrati dai propri padri e perciò, qui sta il collegamento malsano e fallace, sembra logico e conseguente riproporre gli stessi trattamenti violenti all’interno del proprio nucleo familiare.  

di Elettra Nicodemi

Telefono Rosa lavora da più di vent’anni nell’ambito dell’aiuto contro la violenza e tra le tante realtà che segue, svolge un’azione che ha una importanza fondamentale: tiene traccia dei casi di violenza attraverso la compilazione di schede anonime, e li finalizza in “Le voci segrete della violenza” un report annuale che garantisce l’anonimità e che è importante per storicizzare i fenomeni di violenza; Le voci segrete della violenza è uno strumento per capire cosa cambia e cosa no nel corso del tempo e mostra la portata del problema; il report annuale si costituisce come una vera e propria ricerca sociale realizzata con la collaborazione di SWG (società fondata a Trieste nel 1981 che progetta e realizza ricerche di mercato, di opinione, istituzionali, studi di settore e osservatori, analizzando i trend e le dinamiche del mercato, della politica e della società). L’impegno di Telefono Rosa si realizza anche con l’azione di sensibilizzazione e informazione dell’Opinione pubblica in merito al fenomeno della violenza, nell’ottica di proporre una risposta alternativa alle dinamiche di crudeltà, prevaricazione, molestia e sopruso; una risposta basata sull’integrazione e sulla valutazione della uguaglianza nella diversità uomo-donna e sul valore della reciprocità e dell’indipendenza individuale.

Chiediamo alla presidente di Telefono Rosa Maria Gabriella Carnieri Moscatelli qual è la forma più comune di violenza ed è subito evidente che siano le donne a essere le più colpite. Scopriamo che ancora oggi la forma più comune di violenza accade proprio nelle famiglie, tra le mura domestiche dove generalmente è il marito (o il compagno) a essere violento. Parliamo di una violenza che è triplice, sia fisica sia psicologica che economica.

-Spesso la donna si trova prigioniera di una ragnatela- spiega la presidente Carnieri Moscatelli- da cui difficilmente riesce ad uscire, perché è tenuta nell’incapacità di pensare in maniera alternativa in quanto succube psicologicamente e è costretta nell’incapacità di agire perché vittima della minaccia che le vengano tolti i figli per mancanza di indipendenza economica; nel momento di abuso -continua Maria Gabriella Carnieri- la donna non è ancora in grado di tirare fuori la propria grinta, infatti sotto violenza l’io della donna è completamente distrutto. Quando parliamo di aiutare una donna vittima di violenza parliamo di una donna che è riuscita a trovare la forza, la voglia di uscirne e che ha iniziato a pensare in termini di rispetto per i propri figli, parliamo infatti di salvare ragazzi al limite della vita di una coppia, in una realtà familiare che sta portando loro non amore ma violenza. Spesso ragioniamo in termini di paura, allora il nostro messaggio è molto semplice: se tu hai paura per te, pensa ai tuoi figli, resta serena, esci dal fango e falli camminare all’asciutto.-

-Il nostro intervento -spiega Maria Gabriella Carnieri presidente di Telefono Rosa- è mirato; generalmente si tratta di due casi, là dove pensiamo che la donna possa farcela pur rimanendo a casa, parlando con la psicologa, chiedendo la separazione e facendo uscire di casa lui, preferiamo questa eventualità, infatti è meno traumatico per tutti rispetto all’essere costretti a lasciare proprie abitudini e l’ambiente casalingo, tuttavia è meglio andare lontani che rimanere, perciò qualora ci siano i termini, allontaniamo le vittime, appoggiandoci alle case rifugio. Bisogna ricordare che per i bambini e i giovani è deleterio crescere e vivere in un ambiente in cui la cifra determinante è la violenza, i piccoli assorbono la violenza e se il meccanismo non viene disinnescato, cosa che si può fare ad esempio attraverso un percorso specifico, i figli maschi saranno a loro volta dei violenti e le femmine saranno donne soggette al “potere” maschile. Dove non è possibile altrimenti, dunque allontaniamo e mandiamo nelle case rifugio, affiancando all’allontanamento un percorso di riabilitazione, di ripresa della personalità e della capacità ad entrare nel mondo lavorativo, in vista della completa autonomia.-

Il percorso di recupero credo si apra con il momento della prima telefonata. In genere il primo contatto è molto importante, segna il discrimine tra il continuare a subire la violenza e il voler aiuto fino a entrare in un percorso di aiuto per uscirne, per autonomizzarsi e per liberarsi dall’abuso psicologico, fisico, dalle minacce. Cosa fate una volta che entrate in contatto? E cosa vorreste di più?

-Una volta che una donna ci chiede aiuto siamo con lei, cosa che gli consente di uscire dalla situazione in cui si trova. Oltre alle case rifugio però vorremmo leggi che portino diritto nel problema sociale e che si occupino di legislare in merito a tutto il fenomeno della violenza di genere; ci troviamo invece di fronte a leggi che non hanno visione del risvolto nella società quando siamo di fronte a un codice rosso. Nei casi in cui la donna e i bambini restano nella casa, loro rimangono senza soldi, la maggior parte delle volte. Si è sentito parlare di recente di una proposta, di un fondo per cui la donna abbia contributo immediato, ma crediamo che nello stesso provvedimento debba essere inserito che, nel caso in cui lui ha reddito, immediatamente, tramite l’azienda, venga trattenuto quanto anticipato dallo stato. Viene da chiedersi come si possa pensare una legge senza pensare banalmente che la donna resta senza possibilità economiche. La violenza sulle donne -continua Maria Gabriella Carnieri presidente di Telefono Rosa- è una piaga della nostra società che dobbiamo trattare come tale; bisogna tenere presente che aumentare gli anni di galera non funziona. L’inasprimento della pena non è un deterrente che funziona in modo incisivo; il problema va visto a 360 gradi, dobbiamo riuscire a rispondere a domande quali: Cosa possiamo fare per i ragazzi e cosa per la donna? Inoltre dobbiamo mettere all’angolo il violento, bisogna che capisca perché il suo agire è sbagliato e quale il danno che provoca e quale quello che ha provocato e anche qual è l’impegno e lo sforzo che è necessario per ripararvi-.

Telefono Rosa è attivo 24 ore su 24, sette giorni a settimana, 365 giorni all’anno al numero 0637518282; gestisce il numero di pubblica utilità 1522; è online con il sito telefonorosa.it e ha quattro case rifugio sul territorio di Roma collegate dalla rete emergenziale, oltre alla Casa internazionale dei diritti umani delle donne che è arrivata nel 2004 nell’agenda delle Volontarie del Telefono Rosa.

La Casa internazionale è gestita per conto del Comune di Roma, è dedicata alle vittime di acidificazione, infibulazione, violenza fisica e psicologica di vario genere sia italiane che straniere, sia per loro che per i loro figli. Le vittime di violenza anche in questo caso vengono inserite in un percorso mirato in maniera individuale che ha come obiettivo il recupero sociale della donna vittima di violenza, nella consapevolezza del lungo cammino per il recupero dell’autostima e dell’autonomia personale.

Ricordiamo la violenza su una donna molto spesso si porta dietro la violenza verso i figli e che la donna molto spesso si trova in una situazione di rifiuto psicologico, “neglect”, nei confronti della situazione, per il fatto che sviluppa un senso di colpa legato all’impossibilità di proteggere la prole e che in Italia c’è ancora molto da fare: c’è bisogno di una legislazione mirata, di aumentare l’attenzione dell’opinione pubblica al fenomeno, così come c’è necessita di continuare a proporre attivamente una cultura anti-misogina, di par-condicio, di autonomia, indipendenza, unità e amore.

 

Italia, 11/06/2020

Si ringrazia Telefono Rosa nella persona della Presidente Maria Gabriella Carnieri Moscatelli


articolo scritto dalla nostra Giornalista, Dott.ssa Elettra Nicodemi

Capo Redattrice Ufficio Stampa del Partito Unione Nazionale Italiana