RIVOLTE ODIERNE

Sono almeno settantacinque le città americane che negli ultimi giorni sono state scosse da proteste e in più di due dozzine tra queste è stato imposto il coprifuoco.

E era dal 1968 dopo l’assassinio del Rev. Dr. Martin Luther King Jr. che non si vedeva un’ondata di rivolta simile.

Dopo le proteste pacifiche che hanno visto centinaia di migliaia di persone sedute con il pugno chiuso alzato, uno dei vecchi simboli della lotta contro il razzismo negli Usa, la notte di domenica è andata a ferro e fuoco.    

Le proteste sono iniziate dopo la morte, una settimana fa oggi, di George Floyd un uomo di colore che è stato inchiodato a terra da Derek Chauvin il poliziotto bianco di Minneapolis (sud est del Minnesota, lungo il Mississippi) che a sangue freddo ha tenuto un ginocchio premuto sul collo di G. Floyd bloccandogli le vie respiratorie per otto minuti e quarantasei secondi, fino a provocare la morte per soffocamento.

Riposi in pace.

L’omicidio efferato avvenuto sul cemento di Minneapolis è inaccettabile e l’America si ribella. Londra e Berlino nei giorni scorsi hanno avuto manifestazioni in supporto alle rivolte statunitensi, ma niente in confronto alla vera e propria guerriglia che si vede in USA.

Dal vandalismo al saccheggio, negli Stati Uniti si va dall’appiccare il fuoco alle auto parcheggiate in strada, a distruggere vetrate, alla razzia delle merci.

Gli agenti di polizia, come si vede da video online, si sono scontrati con i manifestanti usando manganelli, gas lacrimogeni, e proiettili di gomma sui civili in rivolta vandalica.

Poi un caso, nel mentre in cui si accumulano post sui social con la sigla Acab (All Cops Are Bastards), un caso fa riflettere in modo particolare, una reporter televisiva è stata colpita da una pepperball, un proiettile contenente una polvere chimica urticante.

A sparargliela addosso, nel mentre in cui la donna era in diretta tv, è stato un agente di polizia che sembrava stesse puntando proprio contro di lei.

Nel disastro generale prendiamo un caso tra i tanti, particolarmente eloquente oltre al vandalismo, perché quando la stampa non è rispettata allora non c’è più quartiere; in effetti la situazione negli Usa è davvero grave.

Sulla stessa linea cito il terrificante messaggio diramato dalla polizia di Cleveland che dice “I media non sono autorizzati in città, a meno che non siano nei loro luoghi di lavoro”.

Questo è terribile, è segno che il senno della civiltà è stato perso.  

Le braci della rivolta contro l’assassinio degli afro-americani da parte di forze dell’ordine sopiscono su un clima di forte tensione.

Si tratterebbe di una branca interna alla polizia cosiddetta dei “Suprematisti bianchi” di cui anche Derek Chauvin è un membro.

Sembra che abbiano un segno distintivo nelle foto prima delle missioni, un segno con la mano: pollice e indice uniti a cerchio e dita rivolte verso il basso.

In modo trasversale e interstatale i suprematisti agiscono come si è visto nel caso eclatante di George Floyd e come potete vedere online in molti altri casi da molto tempo, ovvero picchiando e ammazzando di botte, talvolta ragazze anche minorenni, talvolta giovani uomini, talvolta aizzando contro questi civili i cani del dipartimento, facendo azzannare anche quando sono già a terra.

L’unico denominatore comune di queste crudeltà è il colore della pelle e l’origine afro delle vittime.

Dal New York Times propongono una visione bilanciata che vi presento, leggo che il coronavirus è un flagello per gli Stati Uniti, ci sono stati già più di 100mila morti a causa della pandemia e dove decine di milioni di persone hanno perso il loro lavoro; questo clima di tensione dovuto all’azione impunita dei Suprematisti bianchi si innesta dunque sulla forte precarietà causata dal coronavirus e allo stesso tempo dal NYT lamentano l’azione del presidente degli Stati Uniti che a quanto pare adotta una politica che risulta atta ad alzare il tono dello scontro anziché a sedarla.

Le rivolte davanti alla Casa Bianca, in atto nelle ultime ore, sembrano confermare la prospettiva del quotidiano statunitense.

Si parla di clima apocalittico e le immagini online lo confermano.

Recentissima la notizia che i Trump sono stati evacuati per la loro sicurezza nel bunker di emergenza sotto la Casa Bianca.

L’ordine sociale è al collasso, la massa irrompe sulla scena, in questo frangente tragico in cui è ancora presto per contare il totale delle vittime, perché la rivolta è purtroppo in pieno gonfiare, cerchiamo di capire l’importanza dei nuovi media non solo per l’organizzazione estemporanea, ma anche per trasmettere la piazza al prossimo, piazze urbane dove la delegittimazione del regime politico di cui non vengono più accettati i confini è lampante; i nuovi media sono la voce di queste violente proteste che attraverso l’occupazione e, tragicamente, per mezzo della distruzione ridisegnano l’ambito della civiltà da cui i cittadini si sentono estromessi e in cui non si riconoscono.

Cerchiamo ora di allargare lo sguardo o meglio di capire -sulla stessa linea proposta in precedenza-, qualcosa sul clima di tensione statunitense e mondiale; abbiamo dimenticato la situazione prima dell’emergenza coronavirus?

Prendendo in mano un planisfero avremmo potuto vedere una carta piena di punti rossi, di focolai di rivolta, alla cui origine non è errato mettere un nodo comune, la percezione di sentirsi abbandonati o perseguitati dal potere.

Le scintille delle rivolte del 2019 sono poi state varie, vediamone alcune: in Libano l’odiatissima  tassa per le videochiamate (20 centesimi), in Cile l’aumento della metropolitana (quattro centesimi di dollaro), in Ecuador la combinazione rincaro carburante e stop ai sussidi, in India l’aumento del prezzo del cipolle, in Sudan quello del pane, rivolte, per altri motivi anche in Arabia Saudita e a Haiti.

La Francia dei gilet gialli (proteste per il rincaro carburanti) del 2018 ha durato 23 settimane di cortei ininterrotti sotto lo slogan “Macron démission” prima di dissolversi, protestava per le accise motivate come favorenti la transizione ecologica, mentre nel Regno Unito si svolgevano proteste contro la Brexit. In Belgio, Serbia, Romania, nei Balcani, i civili si sono dimostrati stanchi di presidenti o primi ministri populisti e eletti col consenso del popolo nelle aree lontane dai grandi centri.

Per la serie prima del coronavirus anche nel mondo arabo, situazione simile in Algeria che si è ribellata alla candidatura del 5° mandato di Bouteflika che non compare in pubblico dal 2013, in Sudan che ne ha avuto abbastanza di Omar al-Bashir (trent’anni di regno) la cui deposizione è stata, per così dire, pagata, con mille vittime in piazza.

In Italia i gilet arancioni.

Protestano per un motivo che possiamo descrivere allo stesso modo delle altre proteste mondiali, la mancanza di riconoscimento sociale, “gilet arancioni” è in linea di massima il nome che oggi in Italia diamo a tutti coloro che non si sentono rappresentati dalla gente al governo; loro sono sulla stessa linea che lega innumerevoli rivolte del mondo globalizzato quello della massa che la governance politica non riesce a governare, non riesce ad aiutare, né a sostenere o a comprendere.

Si prende di mira una politica ridotta a consenso e a bilancio, in una società “della libera scelta”, ma senza alternative.

Non a caso oltre al ritorno alla lira, i gilet arancioni chiedono un governo votato dal popolo.  

Italia, 01/06/20


articolo scritto dalla nostra Giornalista, 

Capo Redattrice Ufficio Stampa del Partito Unione Nazionale Italiana
Dott.ssa Elettra Nicodemi