Stop al razzismo: le conquiste sociali vanno difese

Da Kareem Adbul-Jabbar a Barack Obama, da Paolo Rossi a Luigi Cavalli Sforza passando per Leibinitz fino a Edith Eva Eger, sul bisogno di scegliere e parlare nella società.  

di  Elettra Nicodemi

Errore banale quello di credere che le conquiste sociali siano intoccabili e per così dire eterne, errore in cui sarei facilmente caduta anch’io se non fosse per il monito che viene da alcuni studiosi il cui contributo culturale risulta fondamentale tra miei studi; tra questi autori il premio Balzan 2009 per la storia delle scienze e già medaglia Sarton per la Storia della scienza, conferita nel 1985 dalla American History of Science Society, Paolo Rossi. Uno dei messaggi portanti di questo filosofo riguarda la rivoluzione scientifica inquadrata come categoria culturale con una funzione determinata: rendere consapevoli che -cito da Paolo Rossi- la razionalità, il rigore logico, la controllabilità delle asserzioni, la pubblicità dei risultati e dei metodi, la stessa struttura del sapere scientifico non sono né categorie perenni dello spirito né dati eterni della storia umana, ma conquiste storiche che, come tutte le conquiste, sono suscettibili di andare perdute.

Guardando al grande incubatore sociale che sono gli Stati Uniti, stiamo tragicamente assistendo alla rivolta per la perdita fattuale della conquista legata al superamento del razzismo legato al colore della pelle e questo fa riflettere in modo particolare su quanto sia necessario da parte di tutti noi dare il proprio contributo per fare si che la nostra cultura contraria alle discriminazioni razziali si perpetui e anche sull’importanza della divulgazione della cultura antirazzista. È fondamentale che venga insegnata alle generazioni più giovani che possono essere vittime di demagogie e facili populismi che inneggiano a teorie razziali, false, tendenziose, dettate dall’odio e senza alcun fondamento scientifico.

In Italia specialmente osserviamo in parallelo un fenomeno purtroppo tristemente consolidato, quello legato alla violenza di genere che troppo spesso sfocia nel femminicidio e che in moltissimi casi porta all’abuso psicologico di donne di tutte le età le quali in tanta parte si trovano tra l’altro costrette a sopportare prepotenze e prevaricazioni per l’istinto di protezione legato alla prole. Augurarsi che questi fatti non accadano più forse non è abbastanza, bisogna piuttosto impegnarsi per quanto possibile in difesa della scienza e della razionalità perché le nostre speranze legate alla pace e alla condivisione e ai diritti non diventino smisurate, ma rimangano tangibili, vive e condivisibili.

Kareem Adbul-Jabbar record-man di punti segnati in Nba, sei volte campione Nba e uno nella manciata degli uomini di colore più influenti e rispettati in America, autore di molti libri, scrive regolarmente su alcuni tra gli argomenti più rilevanti sia a sfondo politico che sociale, pubblicando su vari quotidiani e riviste statunitensi come ad esempio sul Los Angeles Times, sul The Guardian, sull’Hollywood Report; in passato è stato insignito del riconoscimento “Columnist of the year” (sia nel 2017 che nel 2018) prestigioso riconoscimento in campo giornalistico è qui citato per il suo articolo odierno a proposito della situazione del razzismo in America.

Abdul-Jabbar apre con una considerazione forte, cito liberamente: dopo aver visto il video che mostra l’uccisione dell’uomo di colore disarmato George Floyd da parte dei poliziotti, soffocato per quasi nove minuti da un agente alla presenza degli altri della sua squadra, complici per non essere intervenuti, se siete bianchi, ve ne sarete usciti con un Oh cielo, poveretto, mentre se siete neri, con un Oh no, non di nuovo.

Personalmente credo che questo pezzo dell’articolo da solo dia la misura di quanto la situazione sia grave negli States e specialmente di come il razzismo abbia due facce, una quella vissuta dalla popolazione bianca una quella vissuta dalle persone di colore; la differenza sta nel fatto -credo- che una parte, i bianchi, la vivono “assistendovi” in molti casi in maniera impotente, mentre gli altri, i neri, la subiscono sulle loro schiene, con tutte le conseguenze.

Mi sento in dovere di presentare le mie condoglianze alla famiglia di George Floyd, chiunque voglia unirsi a queste condoglianze è libero di farlo.

Così come mi sembra doveroso inoltrarmi ancora nell’articolo di Abdul-Jabbar perché non si può ignorare la forte denuncia dei fatti a cui Kareem ci mette davanti.

Kareem Abdul-Jabbar dice -se ben traduco da Do not understand the protests what you are seeing is people pushed to the edge oggi sul Los Angeles Times- “Queste rivolte possono essere state il pretesto per alcuni per trarne vantaggio, proprio come quando i fan di una squadra locale per celebrare un campionato incendiano macchine e distruggono vetrine di negozi. Non voglio vedere negozi danneggiati né palazzi incendiati. Ma gli afro-americani hanno vissuto in un palazzo in fiamme per molti anni, soffocando per il fumo e per le fiamme sempre più prossime. Il razzismo -continua Abdul-Jabbar- è come polvere nell’aria. Sembra invisibile -anche se ti ci stai strozzando- finché non lasci che il sole ci cada sopra. Poi lo vedi dappertutto. Finché lasciamo splendere quella luce, abbiamo una possibilità di pulirlo via ovunque esso si posa. Ma dobbiamo restare vigili perché resta comunque sempre nell’aria”.

Stamani ho letto anche un altro articolo di cui vorrei parlarvi, sono giorni che cercavo il punto di vista del premio Nobel per la pace 2009, nonché 44° presidente degli Stati Uniti, Barak Obama e oggi l’ho trovato in “Obama calls action against systemic racism” sul Los Angeles Times. A quanto pare l’ex presidente degli Usa parlando dal municipio virtuale sulla riforma della polizia, ospitato dalla My Brother’s Keeper Alliance un gruppo no-profit fondato per aiutare i giovani di colore, è entrato nella discussione legata all’ondata di tensione razziale e protesta contro la brutalità della polizia.  Barack Obama ridimensiona il paragone con i movimenti del 1968 sostenendo che alcune cose sono cambiate da quell’epoca a quella odierna e ha sottolineato un fatto, le persone in questo momento stanno ponendo attenzione al problema del razzismo e questa è una opportunità per educare e mobilitare, per risvegliare le persone sui problemi del razzismo sistemico e, dice, sono urgenti riforme per rivedere l’uso della forza da parte delle forze dell’ordine e altre per combattere il razzismo.

Per un momento sono stata confortata nel sentire l’America che ha un sogno, parlare di nuovo.

Ho poi un altro tra gli studiosi di cui parlavo all’inizio dell’articolo, si chiama Luigi Luca Cavalli Sforza -un genetista italiano docente a Stanford, classe 1922, scomparso nel 2018-, e i suoi studi sono di particolare interesse perché le sue ricerche lo hanno portato ad affermare in modo provato che il concetto di razza è soltanto culturale e che non è dimostrato da nessuna base genetica. I tratti del genoma che codificano per i caratteri somatici non presentano differenze significative in merito a una divisione razziale.

Entrambi i due studiosi che fanno parte del bagaglio che oggi ho con me, Paolo Rossi e Luigi Luca Cavalli Sforza, hanno avuto un punto in comune: l’attenzione da una parte alla ricerca seria e fondata e dall’altra alla divulgazione, nella grande intuizione che la divulgazione della conoscenza è tanto importante quanto la conoscenza in sé.

Vorrei citare qui inoltre gli Specimina di Gottfried W. Leibnitz, invitandovi prima a prendere la dovuta distanza dalla citazione; nel xvii secolo Leibnitz diceva che se disponessimo degli esperimenti e delle osservazioni, forse ci meraviglieremmo delle nostre ricchezze, mentre ora ci lamentiamo della nostra povertà, ignari delle nostre capacità e del tutto simili a quel mercante che abbia la bottega fornitissima, ma del tutto priva di inventario- e aggiunge- che cos’è più misero del fatto che spesso muoiano uomini per noncuranza nei confronti di rimedi che tuttavia già da tempo si trovano annotati e comprovati da molti successi in un angolo di qualche libretto di medicina?

Allo stesso modo noi abbiamo tutto il materiale necessario -credo- per dimostrare che le terrificanti, cosiddette teorie razziali sono un mucchio di sciocchezze senza senso.

Giuseppe Novelli ha parlato meglio di me sul grande Cavalli Sforza quando la triste notizia della scomparsa del ricercatore italiano era appena arrivata; il genetista rettore dell’Università di Roma Tor Vegata disse che le ricerche di Cavalli Sforza hanno permesso di confutare la più assurda delle divisioni che gli uomini abbiano creato, quella delle razze, dimostrando che non esistono dal punto di vista biologico e che sono un’invenzione sociale.

Il mondo scientifico è unanime sul giudizio di Luigi Luca Cavalli Sforza, uno studioso a cui tutti dobbiamo molto, per il contributo essenziale delle sue ricerche e per la sua grandiosa intuizione in merito alla genetica di popolazione.

Tra le altre cose metto in agenda un libro che racconta la storia della ragazza di 16 anni tra i pochi sopravvissuti al campo di sterminio di Aushwitz, Edith Eva Eger. Ne ho sentito la recensione, a quanto pare metà libro è incentrata sulla sua storia l’altra metà su come lei ora aiuti le persone che sono state vittime di abuso psicologico; quando qualcuno è sottoposto a traumi legati al modo in cui pensa sé stesso, ci sono complicazioni legate alla felicità personale e al modo in cui uno si relaziona con il mondo, e le cicatrici possono durare a lungo e influenzarci per sempre.

Ve ne parlo per non dimenticare che quando parliamo di discriminazione sia essa razziale o di genere o religiosa, parliamo di qualcosa che non solo è terribile a vedersi, ma che è gravissima da viversi e perché possiamo fare qualcosa oggi: scegliere chi siamo, scegliere i nostri principi e la nostra cultura, scegliere i nostri punti di riferimento, scegliere a chi credere e chi ascoltare e possiamo parlarne. Io ci sono.      

Italia, 04 giugno 2020


articolo scritto dalla nostra Giornalista, Dott.ssa Elettra Nicodemi, 

Capo Redattrice Ufficio Stampa del Partito Unione Nazionale Italiana