Velocità e Cambiamenti Repentini, Petrolio e Capitali

La storia ci mette sempre di fronte a una rivoluzione imprevedibile per l’epoca in cui quella rivoluzione accade.
Prendiamo Marx, lui credeva che tutte le macchine avrebbero avuto per sempre motori a vapore e riteneva che tutti i motori sarebbero diventati sempre più grandi.
In breve, a parte il fatto che è plausibile non avrebbe mai neppure sognato il rasoio elettrico e nonostante la propensione esclusiva per i motori a vapore e, considerati alcuni errori di priorità nel vedere la storia, non colse affatto la forza della rivoluzione ferroviaria che ha concesso maggior mobilità alle persone. Le prime ferrovie furono infatti realizzate per far spostare gli uomini che andavano a trovare altri uomini e a visitare altre città e non per le merci. La rivoluzione ferroviaria in effetti è passata in sordina, in generale non è stata riconosciuta dai più come un grande cambiamento, un evento di rottura rispetto al passato.
Poi con la produzione a catena di montaggio della Ford, sono arrivate le Ford-T, le prime automobili accessibili ai lavoratori, e allora credo che il fatto di spostare persone che la ferrovia già si portava con sé, divenne evidentemente un fatto epocale.
Per Marx il televisore non era neppure immaginabile, un aggeggio addirittura senza motore, e tanto meno la televisone, un mass media che potesse presentarsi da cervello per il popolo, includendo le persone mediatizzabili in un sostrato comune, probabilmente era al di là della fantascienza.
Punto comune di tante riflessioni sui cambiamenti è una visione estremamente fallace.
Quello storicista.
Lo storicista vede la storia tutta come una specie di corrente d’acqua come un fiume e crede erroneamente di poter prevedere dove passerà l’acqua a partire da quel momento. Questa concezione ha un primo rovinoso risultato: non includere nel conto proprio le rivoluzioni epocali, come -per riprendere l’esempio precedente - la rivoluzione legata ai trasporti che fu realizzata inizialmente in sostituzione dei trasporti su carrozza trainata da cavalli- grazie a motori a vapore più economici perché consentivano di formare convogli di tante carrozze e quindi portare molti
passeggeri con un unico viaggio. E con un secondo tragico esito la perdita della consapevolezza che, ciò che si è conquistato, non fa parte di un dato eterno della storia umana, ma di conquiste storiche che, come tutte le conquiste, sono suscettibili di andare perdute.
La conoscenza della storia non rende capaci di formulare profezie o diagnosi globali, e non è bene illudersi sul fatto che gli uomini siano capaci di trarne insegnamenti utili a non ripetere gli errori del passato. A margine, la storia a meno di una sincera disponibilità a “viaggiare in paesi stranieri” o altrimenti a uscire da ciò che ci è familiare può diventare un’arma a doppio taglio senza porre fondatamente un primo scalino che sta nella disponibilità a capire come la pensavano loro nel passato. Lo spettro delle ideologie è dietro l’angolo, così come è tristemente a portata di mano l’eventualità di imboccare la strada sbagliata sul “soggetto” dello scenario futuro
che sarebbe il fatto che il futuro esiste solo come ipotesi probabile e non prevedibile.
Invece di mettersi a scivolare nella corrente di quel fiume degli storicisti, credo sia opportuno pensare a fare opere di valore nel momento presente, tenendo sotto mano -per fare la rotta-
alcuni strumenti, cioè ciò che noi idealmente riteniamo bello, giusto, …, buono, Itaca.
Nel Marx che conosciamo c’è la fallacia totalitarista: si cerca il nemico per unirsi anziché piuttosto cercare gli amici per specchiarsi -hegelianamente- in loro e trovare occasioni di crescita interpersonale e poi c’è stato una seconda importante svista: il ritenere che l’economia abbia una rilevanza omnicompreniva il che è certamente un errore perché nella società che è una realtà molto complessa ci sono altri fattori come la religione, la nazionalità, i legami di amicizia, l’avere in comune le scuole.
Mi riferisco al fatto che, per citare caso noto, l’Università di Oxford ha avuto una enorme influenza
sulla politica, perché quasi tutti i politici di tutti i partiti erano stati amici all’epoca degli studi universitari. Considerando che non siamo in grado di guardare al futuro con l’idea di poterlo prevedere seguendo la corrente perché il momento presente è quello in cui la storia finisce, potremmo giudicare che la stessa storia che accadde con Colombo accadde per il petrolio.
Sir John Fisher, Primo Lord del mare, ovvero comandante in capo della Marina, si era assolutamente convinto che il futuro della guerra navale e il dominio dei mari si basassero sul passaggio al petrolio, dal carbone al petrolio. E questa sua convinzione, proposta in varie occasioni, innescò un meccanismo.
Ai vertici della Royal Navy scattarono per così dire dei campanelli d’allarme, allarmi che suonarono in un momento cruciale nello scacchiere geopolitico per quanto riguardava l’accaparrarsi della concessione petrolifera degli scavi di Knox D’Arcy in Persia. Il fatto è che il signor D’Arcy, aveva bisogno di investitori senza ancora avere i pozzi oppure doveva segnare il più grosso buco nell’acqua o meglio “nel deserto” del secolo. Knox D’Arcy dava l’impressione
e lo stesso effetto si ha leggendo la sua storia oggi, che stesse letteralmente seppellendo i suoi soldi nella sabbia. Aveva bisogno di convincere altri investitori a acquistare quote del progetto, quindi doveva spremere al massimo le sue finanze per fornire i capitali necessari a mandare avanti i lavori. Insomma Knox bussò a tutte le porte credo in altre parole a tutte le bandiere, per esempio sappiamo che andò a Cannes per coinvolgere il barone Alphonse de Rothschild la cui famiglia aveva già cospicui interessi nella zona petrolifera di Baku e quindi egli poteva essere un acquirente probabile, anche in assenza di una vera e proprio giacimento o meglio senza alcuna
scoperta del giacimento; avevano tracce che ne rivelavano la presenza, ma ancora non c’era stato alcun vero zampillio.
La Persia pareva potesse diventare una primaria fornitrice di petrolio, come nel sogno di Knox
D’Arcy, ma ancora nessuna prova; fu per aver dato ascolto all’intuizione di Fisher che alla Royal Navy sembrò importante accaparrarsi la concessione persiana tanto quanto evitare che finisse nelle mani straniere.
Il sospiro di sollievo per Knox D’Arcy arrivò nel 1905 quando entrarono capitali sostanziosi in quello che fu rinominato Consorzio per le concessioni.
Era dalla fine del 1900 che D’Arcy era in ballo, da quando un certo Antoine Kitabgi un funzionario ben introdotto nell’amministrazione persiana, andò per così dire a bussare alla sua porta.
E c’è da aggiungere una cosa: quel D’Arcy scommetteva come un pazzo su quel giacimento in Persia; era dal 1889 che Paul Julius Reuters rinnovava la concessione per gli scavi e la prima la aveva avuta addirittura nel 1872, quindi era da già da 28 anni che giravano intorno al lume quando Knox D’Arcy si imbarcò nella faccenda.
C’è da dire che D’Arcy studiò con attenzione i risultati delle prospezioni dei geologi francesi, frutto
di un’indagine sul territorio durata quasi un decennio e si consultò con Boverton Redwood.
E che quel tizio, Kitabi, era andato a suonargli alla porta.
E -in ultimo- che la Persia aveva le tasche vuote in quel periodo, cosa che abbassò il livello di opposizione locale alla concessione delle licenze perché era come se le redini del governo stessero per essere consegnate ai cosiddetti nemici dell’islam, dinamiche che portarono alla invalidazione della concessione di Reuter del 1872.
Insomma quando fu la volta di Knox D’Arcy, gli furono concessi 60 anni di libertà a trivellare dovunque gli garbasse in Persia, alla ricerca del petrolio, sebbene poi per il fatto che i russi stavano mandando a monte l’affare, infatti avevano reagito male alla notizia, Knox d’Arcy stesso diede ordine di escludere dalla libertà di sfruttamento i territori del nord “per non far ombra al potente vicino settentrionale della Persia”.
Le cose sono un po’ cambiate da allora, come è facile immaginare, per l’accumularsi di eventi bellici, crisi internazionali, cambio di assetti geopolitici e di accordi internazionali, comunque il fatto interessante nel panorama odierno è uno: in America, nel Permian Basin (nome che definisce un’area geologica corrispondente individuabile grossomodo con il Texas
la cui formazione risale al Permiano) si sta smettendo di scavare.
In quella parte degli Stati Uniti si trova per lo più un tipo di petrolio che non è esattamente “l’oro nero”, il greggio, ma un tipo di olio che ha bisogno di una raffinazione ulteriore per essere impiegato, ma che tuttavia è petrolio a tutti gli effetti.
La crisi petrolifera fa segnare 2 miliardi di barili in meno rispetto al primo trimetre dell’anno e vista la tendenza a dismettere e a smettere di bucare il suolo si prospetta un crollo netto della quantità di petrolio sul mercato, cosa che si trascina dietro un gran numero di società che dovranno dichiararsi insolventi nei confronti delle banche entro il 2021.
A meno di un evento inatteso.

articolo scritto dalla nostra Giornalista,
Capo Redattrice Ufficio Stampa del Partito Unione Nazionale Italiana
Dott.ssa Elettra Nicodemi
29/05/20